Il sondaggio sullo smart working promosso da W.Training (ente di formazione dell’Emilia-Romagna) ha messo in evidenza cosa rende difficile la vita agli smart worker “costretti” a lavorare da casa dall’emergenza sanitaria e di cosa avrebbero bisogno per un’esperienza lavorativa veramente “agile”, confermando il ruolo strategico e decisivo che la formazione ha come acceleratore dei processi di cambiamento.
La difficoltà a mantenere i rapporti con i colleghi/collaboratori, la mancanza di spazi e di strumentazione tecnologica adeguati e la fatica a gestire correttamente i tempi del lavoro: sono queste le problematiche più spesso indicate da chi ha partecipato al sondaggio sullo smart working che abbiamo proposto nelle scorse settimane.
In questo momento di difficoltà che tutti stiamo attraversando vogliamo aiutare le persone che improvvisamente si trovano a lavorare da casa nella forma dello smart working, collaborando con le aziende clienti nella predisposizione di soluzioni adeguate. Per questa ragione abbiamo chiesto alle nostre aziende clienti e al popolo della Rete, attraverso una campagna sui più diffusi social, di dedicare qualche minuto del proprio tempo per collaborare alla nostra iniziativa, rispondendo – in forma anonima – a due semplici domande.
Le persone che hanno risposto al sondaggio, presumibilmente “costrette” a lavorare da casa durante l’emergenza sanitaria del Covid-19, hanno così indicato le difficoltà che stanno incontrando nella propria esperienza di smart working e di cosa avrebbero bisogno per lavorare meglio in modalità “agile”.
Come anticipato, tra le difficoltà riscontrate svetta su tutte le altre il rapporto con i colleghi/collaboratori, con le tradizionali riunioni “fisiche” che solo in parte possono essere sostituite dalle videoconferenze (anche per l’impreparazione tecnica di alcuni a utilizzare le più comuni piattaforme come Zoom, Teams ecc.).
Tra le difficoltà maggiormente sentite seguono, sullo stesso gradino del podio, l’organizzazione del tempo (in regime di smart working molti trovano complicato gestire le pause lavorative con il rischio di non “staccare” mai) e l’utilizzo degli strumenti tecnologici (VPN, software d’ufficio da installare sul pc di casa, presidi per la cybersecurity), con una menzione speciale per l’inadeguatezza della rete Internet che spesso non supporta il maggior traffico di questi giorni di lockdown.
Non sono pochi, infine, a lamentare di non disporre in casa di spazi adeguati al lavoro (spesso contesi con i figli impegnati nelle attività didattiche on line) e di doversi adattare a postazioni lavorative ergonomicamente inadeguate.
Se una migliore strumentazione informatica (hardware e software) viene indicata nella maggior parte delle risposte come indispensabile per lavorare meglio in modalità “agile”, è comunque alta la consapevolezza che per affrontare lo smart working in maniera corretta ci vuole soprattutto un’adeguata formazione (non disdegnando il supporto psicologico e il coaching individuale). Un percorso formativo che coinvolga i lavoratori e le stesse aziende le quali, anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria, saranno probabilmente indotte a riorganizzare i propri processi per venire incontro alle richieste di tutti quei lavoratori che, nonostante le difficoltà iniziali, non vorranno abbandonare la possibilità di lavorare da casa.
Le indicazioni che il sondaggio ci restituisce sono preziose. Esse confermano il ruolo strategico e decisivo che la formazione ha come acceleratore dei processi di cambiamento: aiuta le persone a collocarsi nel nuovo contesto e a mettere a frutto i propri talenti, portando un contributo originale al valore incrementale richiesto ad ognuno all’interno dell’organizzazione.
Per i responsabili delle funzioni aziendali, manager e quadri emergono importanti linee di miglioramento su cui iniziare a lavorare fin da ora: definire gli obiettivi, organizzare il lavoro in progetti, sostenere le relazioni sono le difficoltà che emergono dai lavoratori stessi. Una tale spinta dal basso incoraggi i “manager facilitatori” a dare un reale sostegno al cambiamento, già iniziato, attraverso la formazione e il coaching.
Al Governo, Datori di lavoro e Organizzazioni Sindacali quanto emerge dal sondaggio suggerisce di non dimenticarsi della formazione dei lavoratori. Durante questa “emergenza” ancor più forte è il contributo che essa ricopre in termini di accompagnamento, arricchimento delle competenze e riduzione del digital divide come decisivo sostegno allo sviluppo economico del Paese intero.
Perché il sistema della formazione professionale possa essere realmente in grado di dare il suo contributo alla ripartenza dopo l’emergenza sanitaria, però, è necessario che:
- si semplifichi l’articolato sistema dei fondi interprofessionali: la molteplicità e la burocrazia impoveriscono l’impatto reale sull’impresa – solo un terzo del valore viene destinato all’erogazione delle attività formative;
- si liberi la formazione a distanza, e-learning, teleformazione, live streaming che dir si voglia, dai vincoli che fino ad ora ne hanno tarpato le ali, parificandola a qualsiasi altra modalità di erogazione – in tempi di coronavirus è vitale;
- col bazooka finanziario di cui si sta parlando si metta a segno un colpo anche nel bersaglio della formazione per i lavoratori: il meccanismo del credito d’imposta è un possibile strumento per sostenere le imprese che in questo avverso momento decidono di investire sulle persone, sulla cultura e sul cambiamento anche attraverso la formazione.
Mi auguro che queste nostre semplici proposte possano generare un proficuo dibattito tra chi ha a cuore la formazione delle persone e pensa che la condivisione di conoscenza sia il principale fattore di crescita e di sviluppo.
Leo Barozzini
Direttore di W.Training